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giovedì 29 luglio 2010

EGITTO :CRATERE METEORITICO SCOPERTO CON GOOGLE


Egitto, cratere meteoritico scoperto con Google Earth da una spedizione italiana : 25/07/2010 12.30



L'intuizione venuta dal Web si è poi rilevata corretta con un'esplorazione direttamente sul luogo.

Era l’età della pietra, circa 5 mila anni fa, e nell’Egitto meridionale già avanzava il processo di desertificazione, quando un blocco metallico di una decina di tonnellate, poco più di un metro di diametro, piombò dallo spazio sulla Terra e colpì una località che oggi si chiama Kamil, al confine con Libia e Sudan, non lontana da un villaggio neolitico. Gli uomini assistettero atterriti a un’esplosione, al tremore della terra e alla frantumazione del corpo impattante in milioni di pezzi. Sul terreno fumante rimase una buca grande una cinquantina di metri e profonda poco meno di venti: uno dei crateri da impatto che costellano la superficie del nostro pianeta.
Conferma - Tutta questa ricostruzione è rimasta ignota fino a pochi mesi fa quando, nel corso di un’esplorazione virtuale al computer con Google Earth, il dottor Vincenzo De Michele, già curatore del Museo civico di storia naturale di Milano, si è imbattuto in una depressione circolare sospetta. Una consultazione con l’astronomo professor Mario Di Martino, dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), poi la decisione di organizzare un’esplorazione sui luoghi del presunto impatto, coinvolgendo ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dell’Università di Bologna, del Museo antartico di Siena e di altri enti scientifici egiziani. Infine l’attesa conferma con il rinvenimento della «pistola fumante»: i frammenti del meteorite ricco di nickel e dei minerali che si formano al tremendo impatto. E giovedì 22 luglio la rivista internazionale Science ha consacrato la scoperta del meteorite di Kamil con un articolo a firma dei numerosi ricercatori italo-egiziani coinvolti (The Kamil Crater in Egypt).
Conservato - Il cratere ha una sua rilevanza scientifica proprio perché è piccolo e ben conservato. Di solito sul nostro pianeta crateri di queste dimensioni sono destinati a essere cancellati dall’erosione e coperti dalla vegetazione in pochi secoli, tant’è che oggi sulla Terra se ne contano solo 15 di diametro inferiore ai 300 metri, contro 176 di diametro maggiore ai 300 km. Invece, nel caso del piccolo cratere Kamil, il contesto desertico ne ha preservato l’integrità, tranne un modesto riempimento con materiale sabbioso. «Ha l’apparenza di un catino circondato dal bordo rilevato, tipico dei crateri da impatto», spiega il dottor Stefano Urbini dell’Ingv, che assieme al collega Iacopo Nicolosi, ha curato i rilevamenti geofisici con apparati Gps, radar a penetrazione, e magnetometri. «Le rocce incassanti, formate da arenarie del Cretaceo, hanno conservato perfettamente le strutture d’impatto, assieme agli abbondanti resti del meteorite metallico e ai minerali dovuti al metamorfismo da shock. Il corpo impattante è stato classificato come un meteorite della famiglia delle Ataxiti, ricco in nickel».
«Il ferro caduto dal cielo» - Sarebbe anche interessante, propone Urbini, mettere in relazione la leggenda del «ferro caduto dal cielo», di cui parlano alcuni antichi geroglifici egiziani, con il meteorite di Kamil, ma questo è un compito che spetterà agli archeologi. I rilievi geologici e geofisici hanno permesso pure di risalire alla velocità del meteorite all’ingresso con l’atmosfera, pari a circa 18 km al secondo, e a quella residua al momento dell’impatto, dopo il frenamento esercitato dall’atmosfera: circa 3,5 km al secondo. Tanto bastò perché il«ferro caduto dal cielo» liberasse, un’energia equivalente a circa 20 tonnellate di tritolo. Ma, l’aspetto peggiore dell’impatto fu legato alla frammentazione del meteorite che si comportò come una gigantesca granata militare, generando una pioggia di proiettili incandescenti e taglienti capaci di arrivare anche a un chilometro di distanza. Se c’erano esseri viventi entro quel raggio, nessuno poté sopravvivere.

OOPARTS: IL MANUFATTO DI LONDON

Martello di London :

Il Martello di London è un martello in ferro e legno trovato nel 1936 a London, una cittadina del Texas, USA, e successivamente proposto da alcuni creazionisti come un OOPArt, cioè un "manufatto fuori luogo", una categoria di reperti archeologici non spiegabili con le correnti conoscenze storiche, scientifiche e archeologiche, spesso usate strumentalmente dai creazionisti a sostegno della loro ipotesi

Ritrovamento:

Un blocco di arenaria con un pezzo di legno sporgente fu ritrovato, separato dalle formazioni rocciose circostanti, da un escursionista di nome Max Hann e da sua moglie nel giugno 1936 (o 1934) lungo il Red Creek di London. Dieci anni dopo, nel 1946/1947, il figlio della coppia, rompendo il nodulo, vi trovò il martello parzialmente inglobato al suo interno. Il martello presentava poche zone arrugginite, mentre i resti del manico in legno non erano mineralizzati. Il martello fu venduto dalla famiglia Hann ad un esponente del movimento creazionista Carl E. Baugh intorno al 1983.

La tesi di Baugh e dei creazionisti:

Carl E. Baugh e altri creazionisti hanno affermato che il blocco, e conseguentemente il martello al suo interno, avrebbe dai 500 ai 300 milioni di anni circa (dal periodo Cambriano al Carbonifero), anche dopo che è stato fatto notare come le rocce di Red Creek siano databili al basso Cretaceo (110-115 milioni di anni fa). Inoltre, la datazione basata sull'analisi litografica delle rocce circostanti l'oggetto è poco indicativa, in quanto vi sono casi ben noti in cui alcuni sedimenti si sono induriti intorno ad un oggetto inglobandolo in pochi decenni.

Nel 1997/1999 furono condotti degli esami sul manico di legno con il metodo del carbonio-14, nonostante le lunghe opposizioni di Baugh che ritardarono tali esami: tali esami avrebbero fornito una datazione molto recente, "da 0 a 700 anni fa", ma non sono state fornite ulteriori informazioni su di essi. Baugh ha respinto tali risultati come errati.
A sostegno della tesi che non si tratti di un falso, i creazionisti presentano esami svolti dai Batelle Laboratories di Columbus, Ohio, che avrebbero stabilito che il metallo di cui è composta la "testa" è una lega composta al 96,6% di ferro, al 2,6% di cloro e allo 0,74% di zolfo. Baugh ha affermato che questa lega sarebbe impossibile da ottenere con procedimenti moderni e frutto di metallurgia avanzata, ma senza sostenere questa affermazione con delle prove.
Secondo Baugh, è grazie a tale composizione che il metallo non risulterebbe essere né corroso, né arrugginito. Infatti, secondo i sostenitori della genuinità del reperto, anche una piccola abrasione, effettuata poco dopo la scoperta per sottoporlo ad un'analisi, non avrebbe mai subito processi né di corrosione, né di ossidazione (ruggine). Tuttavia la fotografia che dovrebbe corroborare questa affermazione, in un sito "creazionista", presenta invece un oggetto arrugginito sia sull'abrasione che altrove.
Una tomografia a raggi X realizzata dal laboratorio Texas Utilities nel 1992, ha mostrato l'assenza di bolle e di variazioni di densità nella testa. Anche questo fatto, assolutamente normale per colate realizzate con altiforni moderni, ha spinto Baugh a pensare a una "metallurgia avanzata" posseduta da ipotetiche popolazioni antidiluviane.
Un'altra presunta prova della sua antichità sarebbero i fossili incrostati sulla superficie esterna del blocco, che sono, secondo non meglio precisati studiosi, risalenti al periodo siluriano. Da una analisi realizzata nel 2006, tuttavia, i gusci di conchiglia non risultano compatibili con esemplari antichi, mentre sono molto simili ad esemplari tuttora viventi. Anche le affermazioni di Baugh, che vogliono il martello come "parzialmente pietrificato", non hanno trovato alcun riscontro nell'analisi indipendente svolta da Glen J. Kuban nel 2006.

Il martello come falso:

A sostegno della natura di falso si può notare che non sono presenti aloni di diffusione delle particelle metalliche che avrebbero dovuto prodursi nella roccia in milioni di anni, né la pietrificazione del manico di legno del martello.

Inoltre, dal momento che si tratta di una roccia metamorfica, sottoposta ad enormi pressioni e temperature, sia il manico che la testa del martello avrebbero dovuto essere fortemente deformati.
La forma della testa del martello è molto simile a quella dei martelli diffusi negli Stati Uniti tra il XIX e il XX secolo
Nonostante quindi le insistenze dei creazionisti, non esiste nessuna prova che il reperto sia antico di milioni di anni, e che quindi sia realmente un OOPArt, esistono invece una serie di elementi che portano a qualificare il martello di London come un falso.


mercoledì 28 luglio 2010

YONAGUNI: UN MISTERO SCOMODO




ROVINE E PIRAMIDE SOMMERSA A YONAGUNI (Mar Della Cina)

Le rovine e la piramide sommersa a Yonaguni, posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa. Sempre più ci si accorge che i miti, le antiche tradizioni popolari, finanche le chiacchiere di anziani marinai, hanno solide basi su cui poggiare il loro contorno a volte fiabesco, a volte fantastico, con cui affascinano da sempre chi presta loro attenzione.

LA STORIA

Ed è a una di queste leggende che il professor Wen Miin Tian del Dipartimento di Sviluppo e Ingegneria Marina, della National Sun Yatsen University di Kaohsiung City, Taiwan, ha dato ascolto. In questi ultimi anni si è dedicato interamente a ricostruire, nel limite del possibile, quello che i pescatori del posto si tramandano da generazioni nei loro racconti durante le battute di pesca.
In questi porticcioli dell’arcipelago di Pen-hu (pronuncia “Pengu”), proprio di fronte a Taiwan, la “Rocca”, i pescatori raccontano di strutture sommerse simili a templi, di un grande castello con vaste mura di colore rosso. Parlano tra loro di come una rete impigliata e il successivo immergersi per liberarla abbia mostrato loro resti di colonne e di strutture somiglianti a templi.
Il professor Wen Miin Tian ha voluto approfondire tali “voci di popolo”, accorgendosi ben presto che il mormorio era sostenuto anche dalla mitologia locale. Si parla di antiche vestigia sommerse in acque relativamente profonde. Ma esistevano davvero? E se sì, da quanto tempo erano sepolte dal mare? Chi le aveva erette? Molti gli interrogativi che attanagliavano la mente di Wen.
Posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa.
Le costruzioni, di enormi dimensioni, hanno suscitato eccitazione e sgomento nella comunità archeologica internazionale. Le caratteristiche architettoniche di quella che può essere considerata una colossale struttura, di grandezza paragonabile a quella della piramide di Cheope, sono accostabili alle costruzioni mesopotamiche chiamate Ziggurat, piramidi a gradoni, tipiche dell'area medio­orientale. Non possono quindi essere associate a niente che abbia a che fare con le culture nipponica e cinese a noi note. In precedenza nessuno aveva fatto caso alla presenza di queste costruzioni ed il professar Kimura è stato il primo ad aver capito che la struttura non era opera della natura, bensì dell'uomo. Inoltre, nella stessa zona, ritrovamenti di altre costruzioni si sono aggiunti alla scoperta principale, a conferma che, sommerso a poche decine di metri sotto la superficie marina, un intero complesso architettonico era in attesa di essere scoperto e fornire una nuova chiave di lettura alla storia della civiltà orientale e mondiale. Al sito sottomarino si sono interessati anche il geologo Robert Schoch e l'egittologo John Antony West, sostenitori dell'esistenza di Atlantide e consulenti per gli approfonditi studi di Robert Bauval e Graham Hancock, che hanno considerato la struttura opera della natura. Ma Kimura ha replicato a queste affermazioni. "Se i gradoni fossero il risultato dell'erosione causata dalle correnti marine ­ ha dichiarato Kimura ­ lo stesso fenomeno sarebbe leggibile anche sulle rocce circostanti. La scoperta di ciò che sembra essere una strada che cinge l'intero complesso, conferma che è solo opera dell’uomo". Dopo che le immagini del luogo sono state divulgate, Schoch e West hanno dovuto ammettere il loro errore.

UNA PIRAMIDE DI 10.000 ANNI FA A YONAGUNI

Una certa agitazione regna fra gli studiosi giapponesi, in quanto le analisi e gli studi sembrano confermare che il complesso sottomarino di Ryukyu ha strette relazioni con le rovine precolombiane ed egiziane.
Forse si trattava di un sito religioso e cerimoniale che non ha corrispondenze con nessun'altra architettura sacra dell'estremo Oriente e che si lega invece a siti archeologici presenti in altre parti del mondo. In particolare, l'intero complesso sottomarino come progetto architettonico è sorprendentemente simile alla città Inca di Pachacamac in Perù. Il professar Kimura si dichiara convinto che il tutto è opera di un popolo molto intelligente "con un alto grado di conoscenza tecnologica e di cui finora non avevamo nessuna traccia". Anche l'età stimata del complesso lascia perplessi: Teruaku Ishi, docente di geologia all'Università di Tokio, sostiene che la Piramide sommersa potrebbe risalire almeno all'ottomila a.C. Altri studiosi la retrodatano addirittura al 12.000 a.C.: come dire, più antica delle piramidi d'Egitto. La corrispondenza architettonica tra le strutture sommerse di Okinawa e i templi egiziani, mesopotamici e mesoamericani pone sul tavolo le argomentazioni che gli studiosi di paleoastronautica hanno sino ad oggi avanzato e che molti archeologi solo ora iniziano a prendere in considerazione: vale a dire la presenza di una civiltà planetaria molto evoluta, antecedente il diluvio, Atlantide o la leggendaria Mu, (oppure ciò che i giapponesi chiamano la mitica Onogorojima) della cui cultura pre­diluviana si trovano tracce nei monumenti megalitici sparsi un po' ovunque nel mondo. Il fatto che la Piramide di Ryukyu sia posta sotto il livello delle acque è un indizio consistente del fatto che la civiltà che la eresse scomparve con il diluvio.

YONAGUNI INGEGNERIA ANTIDILUVIANA

Una civiltà che in un lontano passato dovette esercitare una grossa influenza su tutto il globo terracqueo.
Non sono altrimenti spiegabili le notevoli analogie tra le costruzioni peruviane e boliviane e quelle giapponesi. Non è noto a molti infatti che anche in Giappone sono state ritrovate piramidi a facce levigate. Il 19 ottobre 1996 una spedizione archeologica ha scoperto nel nord del Giappone, nell'isola di Honsu, in località Hang sul monte Kasagi, una piccola piramide monolitica e simmetrica, versione in miniatura della piramide di Cheope. Formata da un unico blocco granitico, misura 4,70 metri di base per 2,20 di altezza e rappresenta un elemento architettonico del tutto sconosciuto in Giappone; sino ad oggi almeno. La piccola piramide giapponese non è la sola struttura apparentemente inconsistente con la classica architettura del Sol Levante. Molti dei lettori conosceranno le costruzioni peruviane della città di Cuzco con il suo Curichanca, il recinto d'oro, e la vicina Sacsayhuaman ancora caratterizzata da lunghe file murarie. L’ingegneria inca era contraddistinta dalla capacità di saper assemblare blocchi monolitici e giganteschi con una tecnica ad incastro che non ha corrispettivi validi in epoca moderna. Queste costruzioni hanno vinto la sfida del tempo, superando anche forti eventi sismici, pur essendo costruite senza alcun cementificante. Il segno di una tecnica superiore ancora oggi enigmatica. Il sistema ad incastro non è solo prerogativa del centro­sud America. Le piramidi e i templi egiziani, la piattaforma del tempio di Baalbek in Libano, le fondamenta del tempio di Gerusalemme, oggi visitabili dalla parte cristiana della città sacra presentano la stesse caratteristiche, da molti ricercatori addebitabili ad una cultura antecedente il diluvio, in un periodo compreso tra il 10.000 e il 15.000 a.C. Peculiarità incredibilmente presenti nelle mura di cinta del palazzo imperiale di Tokio, anch'esse formate da blocchi monolitici perfettamente incastrati l'uno nell'altro, come per le costruzioni inca e caratterizzate dalla medesima tecnica ingegneristica. Tra i resti del palazzo è stata inoltre trovata una piccola porta, versione in scala ridotta della Porta del Sole di Tiahuanaco in Bolivia, e come quest'ultima sovrastata da un idolo il cui originale è stato distrutto dai bulldozer durante gli scavi. È una statua, per stile, assimilabile agli idoli a tutto tondo peruviani. Il sistema con cui è assemblata la porta, caratterizzato da tre blocchi monolitici, sembra collegarla ai Dolmen europei e soprattutto ai Triliti che formano l'intero complesso di Stonehenge.

I MENHIR DI NABEYAMA - YONAGUNI

Se, infatti, le recenti scoperte archeologiche hanno rivelato incredibili corrispondenze con monumenti americani, medio­orientali ed egiziani, colpisce il fatto che anche l'architettura bretone e celtica, trovi i suoi corrispettivi in Giappone. Nella foresta di Nabeyama sono stati rinvenuti, sempre nel 1996, due Menhir affiancati, elementi del tutto sconosciuti alla cultura giapponese. Si è appurato che i megaliti dell'antica cultura neolitica europea e bretone in particolare avevano lo scopo di segnalare, come un vero calendario, i principali eventi astronomici, dalle eclissi ai solstizi, e su questi le popolazioni scandivano il loro ritmo di vita. Gli studiosi di paleoastronautica sapranno che il tempio megalitico bretone di Stonehenge ha un'origine ancora oscura e la sua data di costruzione viene continuamente anticipata. Anche in Egitto è stata scoperta, proprio quest'anno, una struttura simile, risalente al 7000 a.C., formata da monoliti di 3.6 metri di diametro e oltre 2 metri d'altezza disposti in circolo e perfettamente allineata nord­sud, est­ovest e con il solstizio d'estate. Il fatto che queste costruzioni siano presenti in luoghi così distanti e in tre continenti differenti, Asia, Europa ed Africa, riconduce alle stesse ipotesi formulate per le costruzioni piramidali nipponiche. Una cultura sviluppata ha agito da impronta a livello planetario in un lontano passato, per poi sparire improvvisamente.

YONAGUNI - LA RADICE COMUNE

Se queste costruzioni si trovassero in Perù o in Bretagna, nessuno avrebbe dubbi sulla loro origine. Che significato dare a queste perfette corrispondenze? La risposta deve per forza di cose considerare che America, Asia ed Europa furono in un lontano passato legate da una cultura estremamente evoluta. La presenza in terra giapponese di questo tipo di architettura conferma che Atlantide deve essere realmente esistita e che essa estese il suo dominio anche in Estremo Oriente o quanto meno influenzò con la sua conoscenza le popolazioni vicine. È un dato di fatto che sta emergendo con forza grazie alle nuove scoperte, molto più di quanto ancora gli archeologi siano pronti ad ammettere. Come si spiegherebbe altrimenti l'esistenza in Giappone di elementi estranei alla cultura estremo orientale, ma perfettamente inseribili in contesti culturali così lontani quali quelli precolombiani, medio­orientali ed europei? Se il Giappone nella sua storia conosciuta mai venne a contatto con queste popolazioni, dove va cercata la radice comune? Probabilmente in una realtà cancellata dalle acque devastatrici di una catastrofe di 10.000 anni fa, che solo ora sta restituendoci un'antica memoria storica sepolta nel buio dei secoli.

YONAGUNI - LA LEMURIA DI FRANCIS DRAKE

Che il Giappone facesse parte, migliaia di anni fa, di un antico impero scomparso, era già stato ipotizzato nel 1968 da W. Raymond Drake nel suo libro Spacemen in the Ancient East, in cui il Sol Levante viene inserito all'interno dei continente di Lemuria. Drake scrive che i primi coloni del Giappone erano uomini di razza bianca, custodi della conoscenza lemuriana. La bandiera del Sole nascente, simbolo dei Giappone, rappresenterebbe ancora il sacro simbolo di Lemuria. "Come gli lndù, i Cinesi e gli Egiziani, i Giapponesi hanno avuto ben dodici dinastie di imperatori divini ­ afferma Drake ­ che hanno regnato per 18.000 anni, suggerendo una dominazione di origine cosmica. Gli etnologi concordano sul fatto che i primi antenati dei Giapponesi erano uomini bianchi che soggiogarono gli autoctoni Ainu, oggi quasi del tutto scomparsi, iniziando così la stirpe Yamato. Analisi linguistiche suggeriscono che la lingua giapponese ha affinità con il babilonese". Ciò conferma che non sono i soli monumenti a fornire le tracce di una radice culturale comune di epoca antidiluviana tra le popolazioni dell'antichità.

INTERVISTA AL PROFESSOR WEN

Il professor Wen e il dottor Shieh, restano però della loro opinione. A loro parere non ci sono dubbi: trattasi di strutture artificiali, costruite dall’uomo in epoca preistorica e “pre-diluviana”. La notizia della scoperta di queste mura era stata da noi presentata nel numero scorso (HERA n° 37 pag. 49). Il loro ipotetico collegamento con le altre strutture sommerse tra Taiwan e Giappone andava approfondito attraverso un colloquio diretto con gli autori della scoperta. Non è stato facile riuscire a mettersi in contatto con il professor Wen Tian e Steve Shieh. Quella che segue, è l’intervista realizzata con l’aiuto del sig. Hou Chu-wang, autore dell’efficace traduzione delle nostre conversazioni dal cinese, a cui va tutto il nostro ringraziamento.

Francesco Garufi: Ci racconti dove e come è avvenuta questa scoperta ...

Wen Miin-Tian: “Il sito si trova in posizione 23° 16’ Nord, 119° 37’ Est, ed è situato tra due piccole isole, Dong-Jyu e Shi-Hyi-Yu, nell’arcipelago di Pen-hu. Questa ricerca subacquea è iniziata diversi anni fa, ma solo durante la fine del mese di agosto del 2002 siamo incappati in questo formidabile ritrovamento. Ciò è stato reso possibile grazie alle nostre apparecchiature tecnologiche che comprendono anche un sonar a scansione laterale. È stato proprio questo strumento che ci ha fornito l’immagine di una strana struttura sottomarina a una profondità di 28 metri. È stata una grande sorpresa che ha creato in noi una smisurata eccitazione. Chiaramente ci siamo immersi subito; dovevamo verificare immediatamente il tipo di struttura segnalata dal sonar”.
F.G.: Può spiegarci come mai il sito si trova nelle profondità marine?
W.M.T.: “La ragione per cui si trova sott’acqua è ancora un mistero. Ci sono alcune possibilità. Come saprà, successivamente all’ultimo periodo glaciale, circa 11.000-12.000 anni fa, il livello del mare si è sollevato di 100-120 metri. La profondità a cui si trova il “muro” è di 30 metri, per cui noi pensiamo che a quel tempo questo sito si trovava fuori dall’acqua. Possono però esserci anche altre ragioni di carattere geologico e di carattere vulcanico. Noi propendiamo comunque per la prima tesi. Il sito era, semplicemente, fuori dall’acqua 10.000-11.000 anni fa”.
F.G.: È naturale, a questo punto, chiederLe come è possibile datare con certezza la struttura, anche in considerazione degli altri fattori che ha esposto?
W.M.T.: “È necessaria una precisazione. Il muro da noi scoperto è costituito da materiale naturale. Tuttavia, ci sono numerose evidenze che quello che vi è stato costruito sopra sia opera umana. Per essere più chiari, ciò che riteniamo di fattura umana si trova inglobato nella struttura naturale che è alla base. Una vera e propria commistione di materiali”. (è quello che anche il prof. Maasaki Kimura ha affermato per Yonaguni, una struttura naturale modificata dall’uomo, N.d.R.).
F.G.: Di quale materiale è composto quello che definite un muro?
W.M.T.: “La composizione è di basalto, come peraltro lo sono gran parte delle isole di questa zona”.
F.G.: Quindi, un’ulteriore dimostrazione della veridicità della Sua teoria ...
W.M.T.: “Certamente. Il basalto è una roccia vulcanica effusiva, generata, cioè, dal raffreddamento all’aria della lava. È facilmente riconoscibile. Come può osservare dalle fotografie, è la parte superiore che è stata aggiunta dall’uomo”.
F.G.: Secondo Lei, dott. Wen, a quale scopo venne eretto questo muro? Era un muro di difesa o parte di un centro urbano?
W.M.T.: “Non siamo assolutamente sicuri di che cosa potesse far parte questo muro. Abbiamo ancora pochi dati in nostro possesso. Quel che è certo è che il muro in questione era un ottimo riparo contro il vento!”.
F.G.: Contro il vento? Può spiegarci meglio cosa intende?
W.M.T.: “Certo, il muro è stato costruito inserendo materiale all’interno delle piccole cavità presenti tra un masso e un altro, così da impedire che il vento potesse insinuarsi all’interno della struttura”.
F.G.: I comunicati stampa parlano di leggende legate a un castello sommerso. Dalle immagini si può parlare di recinto. Lei, dottor Wen Miin Tian, crede che il castello sia da qualche altra parte o si tratta solamente di una leggenda?
W.M.T.: “L’esistenza di queste mura è oramai provata. Il sonar a scansione laterale ha rilevato altre interessanti strutture che suggeriscono un certo grado di intervento umano nella loro realizzazione. Abbiamo potuto individuare una sorta di piattaforma, sormontata da regolari blocchi di pietra. Le informazioni che però abbiamo al riguardo, sono limitate. Per mancanza di fondi, che non sono al momento ancora stati stanziati, abbiamo dovuto interrompere le nostre ricerche. Per quanto concerne la leggenda di una città sommersa in questi luoghi, ebbene, è il fulcro della mia ricerca da oramai tre anni!”.
F.G.: Quindi, esistono leggende legate a questi luoghi. E come tutti i miti, sono stati presi in scarsa considerazione. Lei, dottor Wen, crede alle leggende?
W.M.T.: “Non sarei qui a parlarne con Lei, se non vi dessi credito. E con me, ci crede anche il dottor Shieh. Steve è un serio professionista dell’indagine sottomarina. È molto attivo nel campo della ricerca archeologica subacquea e proprio per la sua grande professionalità ho voluto che partecipasse alla spedizione. La sua esperienza ci è stata di grande aiuto. I pescatori del luogo e le antiche tradizioni taiwanesi, raccontano di muri e case sepolti sott’acqua nei pressi di questo sito. Ma io credo di non aver ancora scoperto quello che, in realtà, mi aspetto di trovare”.
F.G.: Vi sono altre rovine sommerse che possono essere messe in relazione con il muro da voi scoperto?
W.M.T.: “In questo sito, abbiamo trovato altre tre muraglie e alcuni ‘oggetti’ a una profondità compresa tra i 28 e i 30 metri. Come le dicevo però, non abbiamo ancora avuto la possibilità di proseguire le nostre ricerche”.
F.G.: Ci sono nella zona costiera tracce collegabili al muro, relative a strutture preistoriche o megalitiche?
W.M.T.: “Sull’isola di Taiwan ci sono molte rovine preistoriche che sono state scoperte anche di recente. L’esistenza di attività umane preistoriche con relativi oggetti sono del resto ben confermate nel resto delle isole. Per quanto riguarda le strutture sommerse, le leggende parlano di due punti in particolare. Nelle vicinanze della costa est di Taiwan, si troverebbero una struttura simile a una piattaforma e una vera e propria strada. Saranno questi i nostri obbiettivi della prossima campagna di immersione che svolgeremo la prossima estate”.
F.G.: Qual è l’importanza di questa scoperta nella preistoria di Taiwan?
W.M.T.: “Spero che queste scoperte servano a stimolare altre attività archeologiche subacquee. Penso che questi nostri mari siano ‘pieni’ di reperti che aspettano un visitatore. L’archeologia subacquea è in profonda crescita. Servono ‘solamente’ i fondi necessari”.
F.G.: A quale cultura possono essere messe in relazione? Qual è la cultura più antica di Taiwan?
W.M.T.: “Al momento posso solo dire che ci sono chiare prove su terraferma di strutture che risalgono a più di 10.000 anni fa”.
F.G.: Sono stati trovati oggetti di uso comune o iscrizioni in zona?
W.M.T.: “Non ancora. Abbiamo trovato alcune rocce a forma di uovo all’interno della parete. Al momento ne stiamo studiando la composizione”.
F.G.: Tutta la zona compresa tra Giappone, Cina e Taiwan, secondo i geologi giapponesi, è ricca di vestigia megalitiche antichissime. Esiste a suo parere una correlazione tra la fortezza sommersa di Yonaguni (Giappone), le strutture di Kerama (Giappone) e il muro di Taiwan?
W.M.T.: “Ci sono buone probabilità che lo siano. Certamente, abbiamo bisogno di completare le varie ricerche in atto. È presto per giungere a una conclusione, per cui è meglio essere cauti. Molti miei colleghi non sono della nostra opinione. Credo che per farsi un’idea delle strutture sommerse non basti osservare una foto. Bisogna entrarci in contatto, bisogna toccarle con mano!”.
F.G.: Quali sono i progetti futuri per studiare queste rovine? Ha avuto appoggi dalle autorità archeologiche locali?
W.M.T.: “Andremo senza dubbio avanti! Stiamo ricevendo la collaborazione di molti appassionati. Per il momento la spedizione è stata finanziata direttamente da noi. Non abbiamo avuto nessun contributo, questo è il motivo per cui abbiamo dovuto interrompere le ricerche. In futuro, spero, con più dati alla mano, potremo, come già stiamo facendo, sottoporre la ricerca al Museo di Storia Nazionale, che ha già mostrato grande interesse. Speriamo in cospicui finanziamenti che ci permettano di far luce su un periodo ignoto della nostra civiltà”.
F.G.: Grazie dottor Wen ...
W.M.T.: “Grazie a voi per aver nutrito tale interesse per la nostra scoperta”.
Dalle parole del dottor Wen si evince che c’è ancora molto da studiare, e ciò offre un’ampia possibilità di aggiungere nuove scoperte agli aspetti più enigmatici del nostro passato remoto. In questo senso la tecnologia moderna, con le sue ultrasensibili apparecchiature di rilevazione sta dando una mano ai tanti studiosi che si avventurano in un mondo, quello sommerso, capace di regalarci, forse, un sogno: la prova di una civiltà avanzata che ha preceduto la nostra. La prova che, in fondo, non siamo solo dei sognatori.


LE ROVINE SOMMERSE DI YONAGUNI

Tutto cominciò il 9 luglio 1997 quando, nel sito americano della giornalista Laura Lee (http://www.lauralee.com/japan.htm) apparve una notizia curiosa: "Il mio amico Shun Daichi mi ha mandato dal Giappone sei foto di monumenti in pietra sottomarini. Non si tratta di piramidi in senso stretto, ma di rovine subacquee mostrate recentemente dalla televisione giapponese in un documentario. Sono sei strutture trovate al largo di Okinawa. Una è a Taiwan. Sono comunque tutte sotto il mare. Tutti i geologi coinvolti concordano sul fatto che queste strutture siano vecchie di dodicimila anni."
La notizia terminava così, senza commenti e senza importanza. Ma ben pochi potevano immaginare il putiferio che essa avrebbe scatenato.
Fra i primi ad arrivare in Giappone, lo studioso americano John Anthony West ed il geologo Robert Schoch; i due ricercatori che, nel volume di Robert Bauval "Il mistero di Orione", si dicono convinti che la sfinge di Gizah sia anteriore alla civiltà egizia e dunque di origine atlantidea.
Stranamente proprio Schoch e West, dopo avere analizzato un primo costone roccioso, sagomato a piramide, scoperto nei fondali di Yonaguni (area di Okinawa) avevano sentenziato trattarsi semplicemente di strutture naturali, levigate dalle maree. Il 18 ottobre del 1997 lo studioso giapponese Shun Daichi replicava via Internet: "Schoch e West sbagliano”. Le rovine sono state studiate anche dal professor Kimura dell’università di Ryukyu; questi si è detto sicuro che esse siano artificiali. West cerca a tutti i costi l’Atlantide in Occidente, ma noi giapponesi siamo sicuri di quanto diciamo. Abbiamo studiato dettagliatamente il primo filmato delle rovine, realizzato da un sub professionista a nome Kihachiro Artake e, d’accordo con il geologo professor Ishii, dell’università di Tokyo, abbiamo concluso che le rovine siano artificiali."
Alla fine ha avuto ragione il giapponese. E Schoch e West hanno subito uno smacco colossale il 14 marzo 1998, allorché in Internet sono comparse le immagini, registrate dalla televisione nipponica, di una successiva spedizione subacquea, che ha messo a nudo le rovine. Tra i ruderi che i due americani hanno frettolosamente liquidato come rocce sedimentarie è spuntata una scalinata, un basamento ed una sagoma che ricorda un tempio a gradoni o una piramide di stile Maya. Altro che scogli levigati!
Il mondo accademico si è interessato alla vicenda quando, sempre nel 1997, l'équipe di oceanografi diretta dal professor Masaki Kimura, geologo dell'Università Ryukyu di Okinawa, ha analizzato i resti di un'antica civiltà nelle acque dell'isola Yonaguni. Posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa. Le costruzioni, di enormi dimensioni, hanno suscitato eccitazione e sgomento nella comunità archeologica internazionale. Le caratteristiche architettoniche di quella che può essere considerata una colossale struttura, di grandezza paragonabile a quella della piramide di Cheope, sono accostabili alle costruzioni mesopotamiche chiamate Ziggurat, piramidi a gradoni, tipiche dell'area medio­orientale. In precedenza nessuno aveva fatto caso alla presenza di queste costruzioni ed il professar Kimura è stato il primo ad aver capito che la struttura non era opera della natura, bensì dell'uomo.
Teruaku Ishi, docente di geologia all'Università di Tokio, sostiene che la Piramide sommersa potrebbe risalire almeno all'ottomila a.C. Altri studiosi la retrodatano addirittura al 12.000 a.C.; come dire, più antica delle piramidi d'Egitto. La corrispondenza architettonica tra le strutture sommerse di Okinawa e i templi egiziani, mesopotamici e mesoamericani pone sul tavolo le argomentazioni che gli studiosi di paleoastronautica hanno sino ad oggi avanzato e che molti archeologi solo ora iniziano a prendere in considerazione: vale a dire la presenza di una civiltà planetaria molto evoluta, antecedente il diluvio, Atlantide o la leggendaria Mu, (oppure ciò che i giapponesi chiamano la mitica Onogorojima) della cui cultura pre­diluviana si trovano tracce nei monumenti megalitici sparsi un po' ovunque nel mondo. Il fatto che la Piramide di Ryukyu sia posta sotto il livello delle acque è un indizio consistente del fatto che la civiltà che la eresse scomparve con il diluvio.
Che il Giappone facesse parte, migliaia di anni fa, di un antico impero scomparso, era già stato ipotizzato nel 1968 da W. Raymond Drake nel suo libro Spacemen in the Ancient East, in cui il Sol Levante viene inserito all'interno dei continente di Lemuria. Drake scrive che i primi coloni del Giappone erano uomini di razza bianca, custodi della conoscenza lemuriana. La bandiera del Sole nascente, simbolo dei Giappone, rappresenterebbe ancora il sacro simbolo di Lemuria. "Come gli lndù, i Cinesi e gli Egiziani, i Giapponesi hanno avuto ben dodici dinastie di imperatori divini ­ afferma Drake ­ che hanno regnato per 18.000 anni, suggerendo una dominazione di origine cosmica. Gli etnologi concordano sul fatto che i primi antenati dei Giapponesi erano uomini bianchi che soggiogarono gli autoctoni Ainu, oggi quasi dei tutto scomparsi, iniziando così la stirpe Yamato. Analisi linguistiche suggeriscono che la lingua giapponese ha affinità con il babilonese". Ciò conferma che non sono i soli monumenti a fornire le tracce di una radice culturale comune di epoca antidiluviana tra le popolazioni dell'antichità.
Le piramidi e i templi egiziani, la piattaforma del tempio di Baalbek in Libano, le fondamenta del tempio di Gerusalemme, oggi visitabili dalla parte cristiana della città sacra presentano la stesse caratteristiche, da molti ricercatori addebitabili ad una cultura antecedente il diluvio, in un periodo compreso tra il 10.000 e il 15.000 a.C. Peculiarità incredibilmente presenti nelle mura di cinta del palazzo imperiale di Tokio, anch'esse formate da blocchi monolitici perfettamente incastrati l'uno nell'altro, come per le costruzioni inca e caratterizzate dalla medesima tecnica ingegneristica.

giovedì 22 luglio 2010

I MIEI AVVISTAMENTI:28.09.2000 E 14.07.2001


AVVISTAMENTO N° 1: 28.09.2000 ORE 18.45

QUEL GIORNO INDUBBIAMENTE QUALCOSA CAMBIO' NELLA MIA VITA E SICURAMENTE ANCHE IN QUELLA DI MIO FIGLIO MANUEL (10 ANNI ALL'EPOCA)  E DI MIA MOGLIE FILLY. MA VENIAMO HAI FATTI.
QUEL GIORNO VISTO CHE ERA IL GIORNO DELL'ANNIVERSARIO DI MATRIMONIO, AVEVAMO DECISO DI ANDARE IN UN RISTORANTE A FESTEGGIARE LA RICORRENZA. USCENDO DA CASA ALL'INCIRCA INTORNO ALLE ORE 18.30, CI INCAMMINAMMO CON LA NOSTRA UTILITARIA DA CASA NOSTRA CHE SI TROVA NELLA ZONA NORD DI PALERMO ALL'ALTEZZA DELLO SVINCOLO AUTOSTRADALE DI TOMMASO NATALE(PALERMO).
PERCORRENDO LA VIA REGIONE SICILIANA(LA VIA CHE ATTRAVERSA TUTTA PALERMO DA PARTE A PARTE), A META' CIRCA DELLA STESSA CI IMMETTEMMO IN VIALE  LEONARDO DA VINCI, CHE E' UNA DELLE ARTERIE CHE SALE VERSO LA PARTE ALTA DI PALERMO ( DA DOVE E' VISIBILE LA VECCHIA CONCA D'ORO). GIUNTI ALL'ALTEZZA DEI CAMPI DI CALCIO "TOTO' SCHILLACI" (CHE SI TROVANO QUASI ALLA FINE DELLA STRADA), SULLA NOSTRA DESTRA SUL MARCIAPIEDE  MIA MOGLIE SOFFERMO' LO SGUARDO SU
DUE PERSONE CHE IN TENUTA DA JOGGING GUARDAVANO IN ALTO CON FARE A DIR POCO STRALUNATO.INCURIOSITA DALLA SCENA MIA MOGLIE ESCLAMO' : MA CHE GUARDANO QUELLI? E GIRANDO IL CAPO ALLA SUA DESTRA VERSO L'ALTO CONTINUO'?
MA CHE COSA E' " QUELLA COSA"?
IN QUEL MOMENTO FECI UN'INVERSIONE DI MARCIA IN DIREZIONE PALERMO, E MI ACCOSTAI SULLA CORSIA OPPOSTA. SCESI DALLA MACCHINA E  MI ACCORSI CHE NEL FRATTEMPO ALTRE PERSONE ,GUARDANDO IN QUELLA STESSA DIREZIONE, SI ERANO URTATI CON LE MACCHINE. ALZANDO GLI OCCHI VERSO IL PUNTO INCRIMINATO FECI UNA TIPICA ESCLAMAZIONE IN DIALETTO PARLEMITANO( NO COMMENT ) E MI RIVOLSI VERSO MIA MOGLIE ESCLAMANDO: "ADESSO MI DICI SECONDO TE CHE COSA E' QUELLO CHE STAI VEDENDO?" LEI MI RISPOSE: " NON LO SO'", SICURAMENTE NON E' QUALCOSA DI "CONOSCIUTO". L'OGGETTO DI COLORE GRIGIO SCURO OPACO  DAVA LA SENSAZIONE DI UNA LEGGERA OSCILLAZIONE E SI TROVAVA DANDO LE SPALLE A MONREALE TRA MONTE PELLEGRINO E LA MONTAGNA DI  CAPO GALLO. CONSIDERANDO CHE L'ALTEZZA DI MONTE PELLEGRINO E DI CIRCA 600 METRI E LE NUVOLE SONO AD UN'ALTEZZA CHE VARIA DA 800/1500 METRI CIRCA, L'U.F.O. (PERCHE' DI QUESTO SI TRATTAVA) SI TROVAVA AD UN'ALTEZZA INTERMEDIA TRA LA PUNTA DI MONTE PELLEGRINO E LE NUVOLE. L'U.F.O. AVEVA UNA FORMA CILINDRICA ANZI PER RENDERE MEGLIO L'IDEA SOMIGLIAVA MOLTISSIMO A QUELLE PENNE MULTICOLORI CON LA PARTE ALTA BOMBATA E TENDENZIALMENTE A PUNTA VERSO IL BASSO CON DELLE PROTUBERANZE TIPO ANTENNE SUI LATI. L'U.F.O. NON EMANAVA ALCUNA SCIA GASSOSA  O DI FUMO, E NON SI EVIDENZIAVANO LAMPEGGIAMENTI LUMINOSI DI NESSUN GENERE. MA OSSERVANDO BENE L'U.F.O. SEMBRAVA MUOVERSI MOLTO LENTAMENTE VERSO L'ALTO IN DIREZIONE DELLA LOCALITA' BALNEARE DI MONDELLO. ALLORA CI GUARDAMMO CON MIA MOGLIE E DECIDEMMO DI MONITORARLO IL PIU' POSSIBILE SEGUENDOLO, QUINDI CI METTEMMO IN MACCHINA E COMINCIAMMO A SEGUIRLO. NEL FRATTEMPO CERCAI INUTILMENTE DI CONTATTARE UN AMICO CON IL TELEFONINO, ANCH'EGLI APPASSIONATO, PER CERCARE DI IMMORTALARE L'U.F.O. CON LA SUA MACCHINA FOTOGRAFICA PROFESSIONALE, MA LUI ESSENDO FUORI PALERMO NON POTE' ESSERMI D'AIUTO. IN QUESTO LASSO DI TEMPO ERO RITORNATO SU VIALE REGIONE SICILIANA, E CONTINUANDO AD OSSERVARE  L'U.F.O. LO STESSO PROSEGUIVA SEMPRE IN DIREZIONE MONDELLO. GIUNTO IN VIA DELL'OLIMPO UNA STRADA CHE PORTA SU VIALE REGINA MARGHERITA, IL VIALE CHE SCENDE VERSO MONDELLO, L'U.F.O. NON FU' PIU' VISIBILE AD OCCHIO NUDO PERCHE' ANDO' AL DI SOPRA DELLE NUVOLE. ERANO PASSATI CIRCA 45 MINUTI DAL MOMENTO IN CUI AVEVAMO INIZIATO A VEDERE L'U.F.O. ERANO LE 19.30 CIRCA. QUELLA SERA IN PIZZERIA CI GUARDAMMO PERPLESSI SCAMBIANDO POCHE PAROLE, ANCHE PERCHE' MIO FIGLIO MANUEL UN PO' SI ERA IMPRESSIONATO, E QUINDI EVITAMMO ALTRI COMMENTI. A DISTANZA DI QUALCHE GIORNO PARLANDO A LAVORO TRA COLLEGHI RACCONTAI L'ACCADUTO E QUALCUNO COME CAPITA SPESSO IN QUESTE OCCASIONI IRONIZZO' SUL MIO RACCONTO, MA IRONIA DELLA SORTE, AD AVVALORARE IL MIO RACCONTO GIUNSE UN COLLEGA CHE CONFERMO' CHE ALTRE PERSONE  AVEVANO VISTO LO STESSO OGGETTO CHE AVEVO VISTO IO, E CHE L'U.F.O. ERA ARRIVATO ORIZZONTALMENTE INTORNO LE 17,30 CIRCA,  E POI SI ERA POSIZIONATO VERTICALMENTE NELLA POSIZIONE IN CUI L'AVEVAMO VISTO NOI.



AVVISTAMENTO N° 2 DEL 14.07.2001

MI STAVO RECANDO A MARE CON LA MIA FAMIGLIA INTORNO ALLE ORE 11.00, SULLA CORSIA SECONDARIA CHE COSTEGGIA L'AUTOSTRADA PALERMO-TRAPANI, IN DIREZIONE DELLA BORGATA MARINARA  DI SFERRACAVALLO, IN CIELO  ANCORA ERA VISIBILE LA LUNA, DOVE IN DIREZIONE DELLA STESSA IN BASSO ALLA SUA SINISTRA AD UN'ALTEZZA APPROSSIMATA DI CIRCA 1000/1200 METRI CONSIDERANTO LA MONTAGNA DAVANTI A ME CHE NON SUPERAVA I 500 METRI, UN OGGETTO A FORMA (PER RENDERE L'IDEA) DI CONO GELATO MOLTO LUMINESCENTE E QUASI TRASPARENTE(SICURAMENTE ANCHE PER IL RIFLESSO DEL SOLE) SUL MOMENTO  PRIMA DI SALTARE A FACILI CONCLUSIONI PENSAI CHE LA FORMA POTEVA ASSOMIGLIARE A QUELLA DEI  PALLONI  SONDA MANDATI IN ARIA DALL'AEREONAUTICA MILITARE PER LE RILEVAZIONI METEO. OSSERVANDO MEGLIO SIA LA VELOCITA' DI MOVIMENTO, SIA IL FATTO CHE NON SCORGEVO ALCUN INVOLUCRO TRATTENUTO DA CAVI SOTTO L'OGGETTO E RIMANENDO CON QUALCHE DUBBIO, CHIAMAI AL TELEFONINO PER L'ENNESIMA VOLTA UN COLLEGA, ANCHESSO APPASSIONATO COME ME, E STAVOLTA RIUSCII A CONTATTARLO. LUI SI TROVAVA IN LINEA D'ARIA VICINO ALLA ZONA DOVE MI TROVAVO IO, E PRECISAMENTE IN ZONA STADIO COMUNALE. GLI DISSI DI GUARDARE CON ATTENZIONE LA ZONA INTERESSATA DALL'AVVISTAMENTO, PERCHE' LUI POTEVA CONTARE SULL'UTILIZZO DI UN BINOCOLO CON OTTICA ZAISS.E LUI RISCONTRO' IMMEDIATAMENTE L'OGGETTO CHE VEDEVO IO, E MI CONFERMO' CHE CON IL BINOCOLO RIUSCIVA A DARMI CONFERMA CHE L'OGGETTO ERA REALE E METALLICO SE PUR DI COLOR GRIGIO CHIARO, E QUINDI CON IL RIVERBERO DEL SOLE DAVA QUELL'EFFETTO OTTICO DI TRASPARENZA. L'OGGETTO RIMASE VISIBILE FINO ALLE ORE 11.35 CIRCA QUANDO IMMEDIATAMENTE SPARI' DALLA VISTA SIA MIA SIA DEL MIO COLLEGA. ANCHE IN QUESTO CASO LA SENSAZIONE DI STUPORE E PERPLESSITA' E PERCHE' NO' UN PIZZICO DI TIMORE TI RIMANE PER QUELLO CHE TI VUOI SPIEGARE, MA CHE APPENA IDENTIFICHI IN UN U.F.O. TUTTO DIVENTA DI BOTTO COMPLESSO.

P.S. LE FOTO CHE VEDETE COME COREOGRAFIA SI RIFERISCONO IN ORDINE:MOUNT WASHINGTON ANNO 1970-FOTO 2 ST. LOREZEN AUSTRIA ANNO 1971-FOTO 3 BUENOS AIRES ARGENTINA ANNO 1963

martedì 20 luglio 2010

GLI AVVISTAMENTI U.F.O. IN CINA DELLA PRIMA DECADE DI LUGLIO 2010

QUESTI SONO I VIDEO PIU' INTERESSANTI CHE HO TROVATO IN RETE  CHE RIGUARDANO GLI AVVISTAMENTI IN CINA, CHE HANNO CAUSATO PARECCHIO PANICO, AL PUNTO  CHE LE AUTORITA' LOCALI SONO STATE COSTRETTE A CHIUDERE IL TRAFFICO AEREO  DI DIVERSI AEREOPORTI. LE DINAMICHE DI QUESTI AVVISTAMENTI SONO DIVERSE TRA DI LORO, MA I VIDEO MOSTRANO IN ENTRAMBI I CASI DELLE RIPRESE DECISAMENTE INTERESSANTI.

lunedì 12 luglio 2010

OOPARTS:LA PILA DI BAGDAD

Batteria di Baghdad:

Con il termine Batteria di Baghdad si indica un manufatto creato durante la dinastia dei Parti, in Persia, e probabilmente scoperto nel 1936 vicino al villaggio di Khujut Rabu, presso Baghdad, Iraq. L'oggetto divenne noto all'opinione pubblica solo nel 1938, quando Wilhelm König, direttore tedesco del Museo Nazionale dell'Iraq, lo trovò nella collezione dell'ente da lui diretto. Nel 1940, dopo essere ritornato a Berlino, diede alle stampe un libercolo sul quale proponeva la tesi secondo la quale il manufatto in questione poteva essere stato una cella galvanica utilizzata per placcare di oro oggetti in argento.
Datazione e descrizione:

Il manufatto consiste in una giara in terracotta di circa 130mm di altezza contenente un cilindro di rame, ottenuto arrotolando un sottile foglio dello stesso materiale, il quale a sua volta conteneva una singola barra in ferro, la quale era isolata dal cilindro tramite un tappo di asfalto. Il cilindro non era a tenuta stagna, e questo permetteva alla soluzione elettrolita di giungere a contatto con la barra di ferro. Il livello di corrosione dei componenti interni ha portato alcuni studiosi a supporre che come soluzione elettrolitica si sia potuto utilizzare aceto, succo di limone o succo d'uva.

König suppose che l'oggetto potesse essere stato costruito durante il dominio dei Parti, in quanto la porzione del villaggio sottoposta a scavi archeologici risaliva appunto a quel periodo (250 a.C. - 224 d.C.). Tuttavia secondo il dottor St. John Simpson, del dipartimento del Vicino Oriente del British Museum, il contesto originale del sito e la sua stratigrafia non furono registrati in maniera corretta; in più lo stile della ceramica è Sassanide (224 - 640). Tutto questo porta Simpson a supporre una datazione più recente.
La maggior parte dei componenti della batteria non è direttamente databile. La ceramica potrebbe essere datata tramite la termoluminescenza, ma questo indicherebbe solo la data della cottura del vaso e non il suo assemblaggio. Diversamente lo studio della diffusione degli ioni indicherebbe solo la data dell'interramento.

Speculazioni sul funzionamento: Ipotesi della batteria

Rame e ferro costituiscono una coppia elettrochimica, la quale in presenza di un elettrolita, genera una differenza di potenziale (Volt). König osservò numerosi oggetti di argento rivestiti da una sottilissima patina d'oro ritrovati nell'antico Iraq e suppose che furono placcati utilizzando batterie composte da più celle. Dopo la Seconda guerra mondiale, Willard Gray dimostrò che una riproduzione del manufatto produceva corrente elettrica se era riempito con succo d'uva. W. Jansen utilizzò al posto del succo d'uva il benzochinone (alcuni coleotteri producono naturalmente i chinoni) e l'aceto ottenendo risultati ancora più significativi.

Tuttavia, anche tra coloro che sono concordi nell'identificare nel manufatto una batteria, l'ipotesi dell'elettroplaccatura non gode più di molta stima. Oggi si pensa che gli oggetti dorati osservati da König siano stati placcati tramite un processo a fuoco tramite mercurio. Test eseguiti dal Dr. Arne Eggebrecht hanno dimostrato che per eseguire una placcatura di appena un micrometro sono necessarie "molte" celle. In conclusione la potenza generata dal manufatto sarebbe troppo bassa. Paul Keyser ipotizzò, ma non è stato finora dimostrato, che un sacerdote potesse utilizzare la cella per una sorta di elettro-agopuntura o, elettrificando delle statue di metallo, stupire e meravigliare dei fedeli.
Il programma televisivo MythBusters di Discovery Channel ha dimostrato che è molto plausibile che antiche popolazioni utilizzassero il manufatto per eseguire delle placcature o per l'elettrostimolazione. Bisogna dire, però, che la potenza generata da una sola cella è risultata sempre troppo bassa, e per eseguire i vari test sono sempre state utilizzate celle collegate in serie tra loro.


Ipotesi non elettrica :

Gli scettici dicono che i test e le riproduzioni eseguite dimostrano solo che era possibile realizzare una sorta di cella galvanica, non che essa sia stata realizzata realmente. Inoltre, se si intende il manufatto come una batteria, sorgono diversi problemi di interpretazione:

l'asfalto ricopre completamente il cilindro di rame e lo isola in modo tale che gli elettroni possono circolare solo se si modifica l'oggetto stesso;
il manufatto non possiede fili conduttori esterni;
Non esistono dei manufatti che potevano utilizzare per il loro funzionamento energia elettrica;
Un sigillo di asfalto è perfetto per garantire una buona chiusura nel tempo, ma sarebbe scomodo in una cella galvanica, la quale dovrebbe essere aperta di frequente per la sua manutenzione;
Alcuni osservano che l'oggetto somiglia moltissimo ad altri manufatti utilizzati per il trasporto di rotoli sacri dalla vicina Seleucia, presso il Tigri. La decomposizione dei rotoli avrebbe potuto creare un ambiente acido e intaccare così gli elementi interni.

Polemiche e confronti:

Alcuni hanno affermato che questi manufatti dimostrano che l'energia elettrica era già conosciuta nell'antichità, tuttavia, anche se ormai si ammette che la "Batteria di Baghdad" era effettivamente un dispositivo elettrico, questo non comporta l'esistenza di una reale conoscenza dei fenomeni elettrici, tant'è che non migliorarono mai il loro progetto iniziale.

Chi ha costruito la "Batteria di Baghdad", e se questa era realmente una cella galvanica, potrebbe non aver compreso appieno tutti i principi fisici che la governano. Per esempio gli antichi Greci conoscevano i fenomeni elettrostatici prodotti dall'ambra, ma non compresero mai il perché del loro manifestarsi. Nei testi dei Parti ancora non sono stati individuati dei riferimenti a fenomeni elettrici né su un loro diretto utilizzo. Potrebbe darsi che le "pile" fossero utilizzate solo in un contesto mistico.
Le "Batterie di Baghdad", se utilizzate in serie, avrebbero potuto generare una tensione importante. Per confronto i primi esperimenti eseguiti da Luigi Galvani utilizzavano celle molto simili, anche se più grandi, capaci di sviluppare ben 30 Volt.

Test sulla teoria:
L'idea che la batteria potrebbe aver prodotto livelli di energia elettrica utilizzabile è stata messa alla prova almeno due volte.

Nella serie televisiva inglese "Arthur C. Clarke's Mysterious World" del 1980, l'egittologo Arne Eggebrecht utilizzò una riproduzione della batteria, piena di succo d'uva, che produsse mezzo volt di elettricità e dimostrando che avrebbe potuto placcare una statuetta di argento in due ore utilizzando una soluzione di cianuro d'oro.
Nel programma televisivo MythBusters, 29° puntata del 23 marzo 2005, furono collegate tra loro 10 "Batterie di Baghdad" costruite a mano e riempite di succo di limone come elettrolita le quali generarono 4 volt di corrente continua. La domanda che pose la trasmissione fu: "A cosa servivano queste antiche batterie?" La trasmissione diede tre possibili risposte: galvanizzazione, uso medico (elettro-agopuntura) e esperienza religiosa. In effetti il "pacco" di 10 batterie aveva abbastanza potenza da placcare un piccolo oggetto. Tramite due elettrodi a forma di ago si poteva eseguire una elettro-agopuntura, ma quando le batterie si esaurivano, la sensazione del paziente migrava verso il dolore. Per "testare" l'esperienza religiosa fu costruita una replica dell'Arca dell'alleanza completa di cherubini. Invece di collegare le ali dei cherubini alle "Batterie di Baghdad", furono collegate ad un generatore elettrico. Chi toccava l'arca sentiva un forte senso di oppressione al petto.
Anche se le "Batterie di Baghdad" non furono utilizzate, si è dedotto che la loro bassa potenza avrebbe comunque generato nei fedeli che non avevano nessuna idea di corrente elettrica e dei suoi effetti la sensazione di una "presenza divina".


Bibliografia:

Dubpernell, G., "Evidence of the use of primitive batteries in antiquity". Selected Topics in the History of Electrochemistry, The Electrochemical Society, I-22 Princetn, NJ. 1978.

Eggert, G., "The Enigma of the 'Battery of Baghdad". Proceedings 7th European Skeptics Conference. 1995.
Eggert, G., "The enigmatic 'battery of Baghdad". Skeptical Inquirer, May-June 1996 V20 N3 PG31(4).
MacKechnie, J. C. "An Early Electric cell?" Journal of the Institute of Electrical Engineers, 6:356-57. 1960.
Paszthory E., "Electricity generation or Magic? The analysis of an unusual group of finds from Mesopotamia". MASCA Research Papers in Science and Technology 6:31-8. 1989.
Zymet, Matthew, "Electric Artifact".








sabato 10 luglio 2010

HANGZHOU-CINA ORIENTALE ORE 09.30 CIRCA 08.07.2010




HANGZHOU-CINA ORINTALE:

LA FOTO CHE VEDETE QUI' RIPORTATA E' STATA SCATTATA DA UN RESIDENTE DI HANGZHON CITTADINA DELLA CINA ORIENTALE ALLE ORE 09.30 CIRCA DI MATTINA. IL TAM TAM MEDIATICO HA DATO NOTEVOLE RISALTO ALLA NOTIZIA. A CAUSA DI QUESTO AVVISTAMENTO  SONO STATI CHIUSI PER MOTIVI PRECAUZIONALI  ALCUNI AEREOPORTI. CON CONGRUO RITARDO LE AUTORITA' CINESI SI SONO ADOPERATE PER GIUSTIFICARE LA CHIUSURA DEGLI AEREOPORTI CON GIUSTIFICAZIONI POCO PLAUSIBILI. RESTA COMUNQUE UN DUBBIO E SE MI PERMETTETE UNA MIA CONSIDERAZIONE........MA CI STIAMO AVVICINANDO A QUALCOSA?..... I MEDIA CI STANNO BERSAGLIANDO DI NOTIZIE DI VARIO GENERE SULL'ARGOMENTO U.F.O.  ...........E MENO MALE CHE PER MOLTI QUESTO ARGOMENTO NON ESISTE, O E' SOLO UN'INVENZIONE DI MENTI RICCHE DI FANTASIE.......VEDIAMO UN PO' COSA SUCCEDE.

mercoledì 7 luglio 2010

FLOTTIGLIA U.F.O. A BAGHERIA-PALERMO 03.07.2010 ORE 12.00 CIRCA

QUESTE 2 FOTO SCATTATE, LA PRIMA CON UNA MACCHINA DIGITALE, LA SECONDA CON UN TELEFONINO, MI SONO STATE RECAPITATE DA MIEI AMICI AI QUALI HO PROMESSO LA RISERVATEZZA, VISTA L'ECCEZZIONALITA' DEL DOCUMENTO MANDATOMI. COME POTETE VEDERE NELLA PRIMA FOTO, UTILIZZANDO IN MANIERA APPROPIATA LO ZOOM, SI POSSONO VEDERE SETTE SFERE DI VARIO COLORE, E ALL'APPARENZA DI MEDESIMA DIMENZIONE. NELLA SECONDA FOTO SCATTATA, CON LA PROSPETTIVA DI RIFERIMENTO DEL CORNICIONE DELL'APPARTAMENTO, SI POSSONO CONTARE DISTINTAMENTE 26 SFERE DI LUCE, ANCHESSE CON VARIE SFUMATURE DI COLORE(VISTO PURE L'ORARIO). FACENDO UN CALCOLO APPROSSIMATIVO E TENENDO CONTO IL RIFERIMENTO DEL TETTO GLI OGGETTI VOLANO AD UN'ALTEZZA SUPERIORE AI 1500 METRI. NOTEVOLE RITENGO A MIO MODESTO PARERE UNA TRA LE FOTO PIU' INTERESSANTI TRA QUELLE CHE MI SONO CAPITATE TRA LE MANI.MA LA COSA PIU' INTERESSANTE E CHE LE FOTO SONO STATE SCATTATE DA PERSONE A ME VICINE E D'INDUBBIA SERIETA'. SULL'ARGOMENTO MI RISERVO DI FARVI SAPERE NUOVI RISVOLTI, VISTO CHE FARO' ESAMINARE LE FOTO CON PROGRAMMI ADEGUATI.